Compagnia Gli Ipocriti AMERIKA di Franz Kafkatraduzione e adattamento Fausto Malcovatiregia Maurizio Scaparroe con Giovanni Serratore | Fulvio Barigelli | Matteo Mauriellomusiche ispirate alla cultura yiddish della vecchia Europa e al

jazz nero di Scott Joplinadattate da Alessandro Panatterieseguite dal vivo da Alessandro Panatteri, piano | Andy Bartolucci, batteria | Simone Salza, clarinettoscene Emanuele Luzzati riprese da Francesco Bottaicostumi Lorenzo Cutulimovimenti coreografici Carla Ferraro | regista assistente Ferdinando Cerianiin collaborazione con Fondazione Teatro della Pergolacompagnia Gli Ipocriti Lo spettacolo vuol far riflettere proprio sul presunto sognoamericano e sul futuro del vecchio continente, in un’epocadifficile in cui non sono più gli europei a emigrare, ma altripopoli a coltivare il presunto sogno europeo.Maurizio Scaparro Karl Rossmann, giovane ebreo europeo, viene inviato in America come un pacco postale per sfuggire ad uno scandalo che lo vede coinvolto con una domestica. Deve raggiungere lo zio Jacob, un autentico “zio d’America” che deve trovargli un lavoro e una sistemazione. Ed è così che iniziano le tribolazioni del giovane uomo-cavallo (Ross – Man) in un’America che rivela già, nella visione fantastica ma sorprendentemente profetica di Kafka, i suoi mali, le sue contraddizioni ma anche la sua dirompente vitalità.Al ritmo della musica jazz di Scott Joplin, lo spettacolo ripercorre la storia dell’emigrante Rossmann, del suo viaggio, della sua vita errante in cerca di un benessere (il sogno americano?) che sembra sempre a portata di mano ma che rimane inafferrabile.Anzitutto Amerika è un testo visionario. L’America come un grande sogno kafkiano, come allegoria di un mondo che non necessariamente deve avere a che fare con l’America reale. Altro tema posto fin dall’inizio come chiave dello spettacolo da Maurizio Scaparro: l’emarginazione, la diversità, la condizione dell’emigrante. In un’Europa dove i flussi migratori sono sempre più massicci e spesso drammatici, ecco uno spettacolo dove un ragazzo boemo va in America, incontra un fuochista tedesco, fa un pezzo di strada con un disoccupato irlandese e uno francese, ha come compagno di lavoro un ragazzo italiano. Scaparro voleva addirittura che ogni personaggio dicesse qualcosa nella sua lingua; voleva che questa sua America fosse una sorta di Torre di Babele. Infine, l’aspetto più sorprendente è la ricerca e lo sviluppo della linea musicale. Nella prassi registica di Scaparro c’è un’incessante koinè di linguaggi (spaziale e scenografico, gestuale e vocale, musicale), ciascuno dei quali non può fare a meno dell’altro, ciascuno dei quali condiziona e stimola l’altro. Come un veggente, che coglie con la sola imposizione delle mani il senso di un libro, ha visto, senza il bisogno di studi filologici, chiose, note e ricerche, quello che voleva far uscire dal testo. Da Amerika è uscito un discorso di cui abbiamo bisogno: un discorso contro tutte le discriminazioni, contro tutti i razzismi, contro tutte le violenze e gli ottusi autoritarismi.